Covid 19: vestirsi da lavoro o stare in tuta?

Abbiamo già affrontato l’argomento che ‘L’abito non fa il monaco, ma lo veste da mattina a sera. Ora molti di noi stanno affrontando questa situazione di emergenza lavorando da casa –smartworking-; essendo a casa potremmo lavorare in tuta o in pigiama: nessuno dei colleghi ci vede! Finalmente possiamo lavorare in ‘libertà’ e possiamo anche ritardare un po’ iniziando con calma.

Essendo venerdì leggiamo anche della sfida neozelandese intitolata: Formal Friday (sopra la fotografia di mia cugina Paola che ha accolto la sfida Formal Friday). Si lavora da casa ma indossando il completo, o l’abito da lavoro e per alcuni anche un abito elegante. 

Perché vestirsi in giacca e cravatta, o come se andassimo in ufficio, quando possiamo stare comodamente in tuta?

Quello che potrebbe avvenire in questo periodo di lavoro a distanza è la ‘mancanza di struttura durante il giorno’. Con poca struttura, siamo più vulnerabili alla miriade di distrazioni che possono emergere mentre lavoriamo da casa. Questa mancanza di struttura può anche significare che non c’è fine alla giornata di lavoro – in altre parole non c’è distinzione tra casa e lavoro.

Ecco allora tre motivi per cui ‘vestirsi da lavoro’ può aiutare a risolvere l’intrinseca mancanza di struttura quando si lavora da casa.

  1. Vestirsi con abiti da lavoro attiva la propria identità di ‘lavoratore’

Ipotizziamo di chiedere a Mario ‘Chi sei?’; lui potrebbe rispondere: sono un amico, un genitore, un musicista, un calciatore. Queste sono le sue identità. Ognuno di noi ha identità multiple e queste vengono attivate dai diversi ambienti in cui entriamo in contatto. Quando Mario cammina sul campo di calcio, l’identità del calciatore emerge; quando suo figlio cade e inizia a piangere, l’identità di essere genitore emerge per soddisfare i suoi bisogni. Allo stesso modo, quando ci vestiamo con l’abbigliamento da lavoro, entra in gioco l’identità di ‘lavoratore’. Siamo motivati ad essere un ‘lavoratore’ e ci concentriamo sul garantire la produttività per quel giorno.

Una ricerca su professionisti, passati da impiegati convenzionali a lavoratori da casa, ha evidenziato che un numero consistente di questi lavoratori ha continuato a vestire abiti da ufficio quando lavoravano da casa (Brocklehurst, 2001) perché li aiutava a rafforzare il loro senso di ‘essere al lavoro’.

  • Vestirsi e togliersi gli abiti da lavoro aiuta a gestire i confini tra casa e lavoro.

Vestirsi con i vestiti da ufficio aiuta a predisporre il cervello nella giusta mentalità per il lavoro. Cambiando gli abiti in cui abbiamo dormito e indossando la ‘divisa’ da lavoro, stiamo dicendo al nostro cervello: ‘Ora sono al lavoro’. Allo stesso modo, quando cambiamo i nostri abiti da lavoro in abiti da casa a fine della giornata, ci stiamo dicendo che la giornata di lavoro è finita e che è tempo di riposare e concentrarsi sulle attività non lavorative. Queste azioni servono come fermalibri chiaramente definiti (ad es. Punto di inizio e fine) per la propria giornata e possono aiutarci a mantenere il normale numero di ore lavorative.

Un trucco per garantire il confine ‘casa-lavoro’ è quello di cambiarsi i vestiti per passare dall’identità del lavoro all’identità domestica.

  • Vestirsi con abiti da lavoro può aiutare il proprio pensiero astratto a lungo termine.

Slepian e colleghi (2015) della Columbia University hanno scoperto che quando le persone indossano abiti più formali, hanno maggiori probabilità di pensare più apertamente e considerare obiettivi a lungo termine. Questa forma di pensiero, nota anche come pensiero astratto, svolge un ruolo importante nell’aiutarci a completare le attività lavorative quotidiane.

Gli studi non ci stanno suggerendo di rispolverare lo smoking e indossarlo ogni giorno; ci stanno però aiutando a considerare che potrebbe valere la pena cambiare marcia e indossare deliberatamente abiti da lavoro più formali nei giorni in cui ci troviamo ad affrontare compiti che richiedono una notevole concentrazione e ‘ginnastica mentale’. Essere in uno stato d’animo ‘aziendale’ vestendoci in modo più formale potrebbe aiutarci a reprimere qualsiasi distrazione che avvengono durante la giornata. Allo stesso modo, nei giorni in cui lavoriamo su attività più creative o facciamo brainstorming per nuove opportunità, potremmo invece scegliere una tuta comoda.

Cosa ci suggerisce la studiosa Sharon Parker, direttrice The Centre for Transformative Work Design?

Di usare intenzionalmente il modo in cui ci vestiamo come un modo per entrare e uscire da una mentalità lavorativa.

Sei pronto ad iniziare la tua personale sperimentazione? un giorno indossi abiti da ufficio, un altro giorno indossi il pigiama o un abbigliamento sportivo per scoprire quale combinazione di abbigliamento offre la versione più produttiva di te.

Spunti tratti da:

https://www.linkedin.com/pulse/dress-getting-work-mindset-sharon-k-parker/?trackingId=3VUXI%2B8%2FStaVrB03feS5rg%3D%3D

Brocklehurst, M. (2001). Power, identity and new technology homework: Implications for new forms’ of organizing. Organization studies22(3), 445-466.

Slepian, M. L., Ferber, S. N., Gold, J. M., & Rutchick, A. M. (2015). The cognitive consequences of formal clothing. Social Psychological and Personality Science6(6), 661-668.

Weick, K. E. (1996). Drop your tools: An allegory for organizational studies. Administrative science quarterly, 301-313.

Covid 19: sii gentile con te stesso

Molte persone oggi sono sovraccaricate nel loro lavoro (possono vivere quello che in gergo viene chiamato ‘possibile momento di stress con viva attivazione fisiologica e comportamentale’): alcune affrontano problemi derivanti dallo ‘smartworking’, altre cercano freneticamente di pensare a un Piano A, B e C se le loro attività lavorative chiudessero, alcuni cercano di destreggiarsi tra lavoro da casa con bambini piccoli che corrono, e altri ancora trovano impossibile concentrarsi vista la pandemia che stiamo vivendo. Inoltre sentiamo la mancanza di riti comunitari e riti individuali.

Cosa facciamo in questo momento di grande stress? Ognuno reagisce a modo suo e si cerca di sopravvivere. Alcuni non hanno nemmeno il tempo di pensare a ciò che sta accadendo.

L’essere umano, quindi, potrebbe attivare il meccanismo di coping centrato sull’evitamento.

Cosa significa coping? È la messa in atto di strategie nel tentativo di far fronte all’evento, può essere un pensiero o una azione. Sono strategie del qui & ora (Lazarus & Folkman, 1984). Il coping centrato sull’evitamento (avoidance coping) è il tentativo dell’individuo di ignorare la minaccia dell’evento stressante o attraverso la ricerca del supporto sociale o impegnandosi in attività che distolgono la sua attenzione dal problema. La ricerca mostra che evitare di pensare a una situazione stressante può essere utile a breve termine ma, a lungo termine, può contribuire alla depressione e al burnout.

Piuttosto che attivare una strategia di coping centrato sull’evitamento, un modo più adattivo per affrontare lo stress è praticare l’autocompassione (self-compassion).

Secondo Neff e Vonk (2009), autocompassione significa tre cose:

  1. Essere consapevoli dei propri sentimenti (Consapevolezza). Riconoscere le proprie emozioni. Rallentare il necessario per sentire i sentimenti e non scappare.
    Dare parola alle proprie emozioni.
    Noi siamo compassionevoli verso un nostro amico, verso colui che soffre. E verso di noi?
    Sono ansiosa? Confusa? Preoccupata? Arrabbiata? Frustrata?
    Come si manifestano questi pensieri e sentimenti?
    Va bene dire ‘È dura. È difficile in questo momento’.
  2. Sii gentile con te stesso. Immagina che un tuo amico sia venuto da te e abbia condiviso con te di sentirsi sopraffatto, di non riuscire a svolgere il proprio lavoro in modo adeguato e di non poter rispondere nemmeno alle richieste della famiglia. È altamente improbabile che tu dica al tuo amico di smettere di essere debole e di lavorare di più. Eppure parliamo spesso a noi stessi in questo modo quando non stiamo ‘affrontando bene la situazione’.
    Trattati allo stesso modo in cui tratteresti un amico. Chiediti “come posso prendermi cura di me stesso meglio?
    Se non riesci a portare a termine tutte le tue attività o pensi che la tua performance lavorativa sia basso o se la tua casa non è lucida e in ordine, concediti una pausa. Non giudicarti così duramente.
  3. Accetta la tua umanità. Il fatto che a volte potresti sentirti sopraffatto, nervoso o incapace di farcela, non ti rende debole: ti rende umano. Non esiste una persona perfetta: tutti abbiamo dei fallimenti. Quindi non sei solo o unico se sbagli o non stai affrontando bene o stai fallendo in qualche modo. È la nostra realtà condivisa come umani – stiamo tutti lottando a modo nostro. Condividere i tuoi sentimenti con gli altri aiuta.

L’auto-compassione non è debolezza. In effetti, la ricerca mostra che quando sei gentile con te stesso e non ti giudichi severamente, sei più resistente di fronte alle avversità (Neff, K. D., e McGehee, P., 2010). Né è egoistico esercitare autocompassione. In effetti, non puoi supportare pienamente le altre persone o essere efficace nel tuo ruolo di genitore, padre, manager, madre, sorella, amica, se non ti senti bene (Barnard, L. K., e Curry, J. F., 2011).

La persona capace di provare auto-compassione, quando si confronta con i fallimenti, offre a se stessa un caldo abbraccio. Non si giudica, non si arrabbia, non si fa del male, non si sminuisce. Si comprende con gentilezza. Resta calma, non va in ansia, non soccombe allo stress. Per questo reagisce meglio alle avversità.

Kristin Neff, la studiosa di autocompassione, ci propone un esercizio di autocompassione dal titolo ‘pausa di autocompassione’.

  1. Identifica l’emozione che provi (è frustrazione, è dolore, è paura…)
  2. Ricordati l’umanità condivisa (es. la sofferenza fa parte della vita. A tutti capita di sentirsi così, ogni tanto)
  3. Metti le mani sul cuore, o in una posizione rassicurante. E diciamoci: voglio avere compassione di me, voglio trovare la forza e la pazienza…

Spunti tratti da:

https://www.linkedin.com/pulse/kind-yourself-self-compassion-difficult-times-sharon-k-parker/?trackingId=AIJQdskzRXGxWv2%2F2cwh2A%3D%3D