La tirannia del pensiero positivo può minacciare la tua salute e la tua felicità

Nel precedente post si è parlato della ‘tossicità del pensiero positivo’; nei giorni scorsi ho avuto l’opportunità di lavorare con UOMINI e DONNE, soccorritori, i quali vivono emozioni forti, anche negative (e non esclusivamente perché c’è una vittima, ma anche perché l’intervento ‘non è andato nel migliore dei modi’ pur avendo portato in salvo il paziente).

Oggi diamo voce a Susan David che si chiede e ci chiede: ‘Siamo agili emozionalmente? Sappiamo dare un nome e una tonalità alle emozioni che proviamo? Oppure le neghiamo e le interpretiamo in modo convenzionale e rigido come buone o cattive, positive o negative?

La rigidità di fronte alla complessità è deleteria. Abbiamo bisogno di maggiori livelli di agilità emozionale per avere una vera elasticità e crescita.

La bellezza della vita è imprescindibile dalla sua fragilità. La sola certezza è l’incertezza, eppure non attraversiamo questa fragilità con successo o in modo sostenibile. L’Organizzazione Mondiale della Sanità dice che la depressione è ora la prima causa di disabilità a livello globale, superando il cancro, superando i problemi cardiaci. E nel momento di una maggiore complessità, di cambiamenti tecnologici, politici ed economici mai visti prima, stiamo vedendo come la tendenza delle persone sia quella di bloccarsi sempre più in rigide risposte alle loro emozioni.

Da un lato potremmo rimuginare ossessivamente le nostre sensazioni. Che restano incastrate dentro le nostre teste. Convinti di essere nel giusto. O vittime delle nostre informazioni. Dall’altro, potremmo rinchiudere le nostre emozioni, metterle da parte e ammettere solo quelle emozioni ritenute legittime.

In un sondaggio che Susan David ha condotto su circa 70.000 persone, ha scoperto che un terzo o giudica se stesso per avere le cosiddette “brutte emozioni,” come tristezza, rabbia o persino dolore, o prova con determinazione a mettere da parte queste sensazioni.

Emozioni normali, naturali, vengono viste come buone o cattive. Ed essere positivo è diventata una nuova forma di correttezza morale. A chi ha il cancro viene automaticamente detto di rimanere positivi. Alle donne, di smettere di essere così arrabbiate. …

È una tirannia. È la tirannia della positività. Ed è crudele. Scortese. Inefficace. E la propiniamo a noi stessi e agli altri.

La ricerca sulla soppressione emotiva mostra che quando le emozioni vengono accantonate o ignorate, si rafforzano. Gli psicologi la chiamano amplificazione. 

Non è da fraintendere Susan David (che non nega Seligman). Non è anti-felicità. Le piace essere felice. Anzi, si definisce una persona, una donna, piuttosto allegra. Ma quando si accantonano le emozioni normali per abbracciare una falsa positività, si perde la capacità di sviluppare abilità di gestire il mondo così com’è, non come desideriamo che sia.

Quante volte sentiamo “Non voglio provare perché non voglio sentirmi deluso. ” O: ” Voglio solo che questo sentimento vada via.”… e come dice Susan David, “Sono gli obiettivi di persone morte.” Solo le persone morte non sono mai indesiderate o importunate dai loro sentimenti.

Solo le persone morte non si stressano, non hanno mai i cuori spezzati, non provano mai la delusione che deriva dal fallimento. Le emozioni pesanti fanno parte del nostro contratto con la vita. Non si riesce ad avere una carriera significativa o crescere una famiglia o rendere il mondo un posto migliore senza stress e disagio. Il disagio è il prezzo di ammissione a una vita che abbia senso.

Quindi, come possiamo smantellare la rigidità e abbracciare l’agilità emotiva? La ricerca mostra che l’accettazione radicale di tutte le nostre emozioni persino quelle confuse, difficili, è la base della capacità di recuperare, del prosperare, e della vera, autentica felicità. Ma l’agilità emotiva non è solo l’accettazione di emozioni. Sappiamo anche che l’accuratezza conta. Nella ricerca David ha trovato che le parole sono essenziali. Spesso usiamo etichette veloci e facili per descrivere i nostri sentimenti.  Quando etichettiamo le nostre emozioni accuratamente, siamo più abili a distinguere la causa precisa dei nostri sentimenti. (Possiamo usare il fiore delle emozioni di Robert Plutchik, l’immagine sopra, oppure rileggere ‘Il conflitto è il padre di tutte le cose‘). E ciò che la scienza chiama potenziale di prontezza nel cervello si attiva, permettendoci di fare passi concreti.

Le emozioni, inoltre, sono dati, non sono direttive. Possiamo accettare e analizzare le nostre emozioni per il loro valore senza aver bisogno di ascoltarle. Possediamo le nostre emozioni, non sono loro a possedere noi.  Possiamo, ad esempio, provare a non dire “Sono arrabbiato” o “Sono triste”. Quando diciamo “Sono” ci fa sentire come se noi fossimo l’emozione. Mentre noi siamo noi, e l’emozione è una fonte di dati. Possiamo invece provare a registrare il sentimento per quello che è: “Sto notando che mi sento triste” o ” mi sento arrabbiato.”

Queste sono abilità essenziali per noi e sono fondamentali nell’ambiente di lavoro. David evidenzia nella sua ricerca l’importanza della considerazione individualizzata. Quando alle persone è permesso provare la loro verità emozionale, coinvolgimento, creatività e innovazione fioriscono nell’organizzazione.

Diversità non è solo persone, è anche cosa c’è dentro le persone. Includendo la diversità di emozione.

L’agilità emotiva è l’abilità di stare con le proprie emozioni con curiosità, compassione e specialmente il coraggio di fare passi connessi al valore.

Tratto da:

Autore: Emanuela Chemolli

Emanuela dott.ssa Chemolli, Ph.D. Ha conseguito un dottorato in Psicologia delle Organizzazioni presso l’Università di Verona in collaborazione con Concordia University, John Molson School of Business (Montreal, Canada), un master in Marketing Management Territoriale (Accademia del Commercio e Turismo, Trento) e una laurea in Scienze dell’Educazione, Esperto nei processi formativi (Università di Verona). Ha esperienze lavorative sia nazionali (come trainer comportamentale, ricercatore, consulente aziendale) sia internazionali (ricercatore presso Concordia University, John Molson School of Business – Montreal, Canada; professore universitario presso il Dipartimento di Management e Imprenditorialità, Sawyer Business School, Suffolk University, Boston, USA). Membro della prestigiosa Society for Industrial and Organizational Psychology dal 2010, è esperta di motivazione al lavoro e i suoi argomenti, sviluppati sotto forma di training, consulenza e ricerca sono: Migliorare i risultati personali e aziendali attraverso programmi ad hoc inerenti a leadership e motivazione,essere manager oggi, benessere organizzativo, comunicazione (e disinformazione), felicità, stress lavoro correlato, sviluppo dei talenti e condivisione delle conoscenze, sviluppo dei team.

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