A tua insaputa

In un articolo, Giuliano Aluffi presenta un libro che è stata, per me, una vera scoperta dell’estate. Il libro è di John Bargh, A tua insaputa. La mente inconscia che guida le nostre azioni, Editore Bollati Boringhieri.
John Bargh, docente di psicologia a Yale, è probabilmente il principale esperto mondiale della mente inconscia. Giuliano Aluffi pone ‘al libro’ alcune domande e Bargh, con la sua scrittura ricca di aneddoti e di racconti esilaranti, risponde.
Buona lettura a tutti!

Come può l’inconscio influenzarci dal futuro?

«La nostra mente, così come l’universo per Einstein, esiste simultaneamente nel passato, nel presente e nel futuro. In ogni momento coesistono in noi i ricordi del passato, la capacità di reagire al presente e la tensione ad anticipare gli eventi per non essere colti alla sprovvista. Queste tre realtà di cui abbiamo coscienza hanno ognuna una controparte carsica, che influenza di nascosto le nostre decisioni e viene alla luce solo negli esperimenti di psicologia. Gli obiettivi per il futuro e le questioni irrisolte continuano a lavorare dentro di noi anche quando pensiamo a tutt’altro. Questo ci aiuta a tenere il timone nella direzione giusta, ma al contempo ci rende più vulnerabili a influenze esterne che tocchino il tasto giusto».

A proposito: le pubblicità subliminali fanno parte del mito o della scienza?

«Nel saggio I persuasori occulti, Vance Packard nel 1957 raccontò che in un cinema del New Jersey la proiezione subliminale della scritta “Drink Coke” durante un film avrebbe indotto gli spettatori ad assediare il chiosco delle bibite. Ma è una leggenda metropolitana, e pare che anche il cinema descritto da Packard non fosse mai esistito. Gli studi più recenti dicono che i messaggi subliminali possono influenzare i nostri comportamenti, ma solo se già abbiamo un obiettivo (futuro) in mente. Se già siamo assetati, una pubblicità subliminale può condizionare la scelta di una certa bevanda. Ma non può farci venire sete».

E il passato come ci condiziona?

«L’evoluzione ha radicato in noi potenti bisogni — come evitare i pericoli, acquisire risorse, stare al caldo e al riparo — che sono presenti sottotraccia in tutto ciò che facciamo. È interessante lo studio di Inagaki e Eisenberger, che nel 2013 mostrarono come tenere in mano qualcosa di caldo sollecita la stessa parte dell’insula — area cerebrale associata all’emotività e alle sensazioni — che si attiva quando leggiamo messaggi dei nostri cari. Ho sperimentato che vale anche l’opposto: toccare il ghiaccio sollecita un’altra piccola area dell’insula, la stessa che si attiva anche quando veniamo traditi durante un gioco economico dove un partner può dividere con noi una somma in modo equo o iniquo. Il calore fisico e quello “sociale” si sovrappongono nell’inconscio. Quando abbiamo chiesto a dei soggetti di valutare la personalità di uno sconosciuto, quelli a cui prima del test, con una scusa, avevamo offerto un bicchiere di caffè caldo hanno poi giudicato la persona come “calorosa e affabile”. Forse è un retaggio dell’infanzia: John Bowlby, pioniere degli studi sull’attaccamento, notò come la sensazione fisica del calore sia collegata, nei primi mesi di vita, al sentirsi sicuri. Quando siamo così piccoli non abbiamo tanti modi per valutare gli altri: chi più ci trasmette calore, portandoci in braccio, è un amico. Gli altri di meno».

L’inconscio ci condiziona anche nel presente?

«Quando qualcuno ci imita, se lo fa in modo naturale e non teatralmente, ci fa diventare più ben disposti verso quella persona. È l’effetto camaleonte: favorisce un legame. I camerieri che ripetono a voce l’ordine del cliente mentre lo stanno scrivendo sul blocchetto ricevono più mancia. E, come ha mostrato la psicologa francese Cèline Jacob, i commessi che rispondono ai clienti ripetendo la domanda — ad esempio, “Può aiutarmi a trovare un cellulare?” “Certo che posso aiutarla a trovare un cellulare” — fanno aumentare le vendite».

Quanto è diversa la sua idea di inconscio da quella di Freud?

«Prima di Freud i comportamenti anormali erano ritenuti colpa degli spiriti maligni che si impossessano di noi. Freud li spiegò con l’inconscio, ma lo caratterizzò come una forza autonoma e per lo più dannosa, reintroducendo una sorta di “demone” all’interno della nostra testa. Il problema è che Freud costruiva le sue tesi sull’inconscio partendo da malati psichici, per poi generalizzarle a tutti. Ancora oggi la cultura popolare ne risente: nel film Inside Out della Pixar l’inconscio è una stanza buia usata per rinchiudere le emozioni negative. Gli studi recenti su soggetti sani, invece, ci indicano che l’inconscio non è né segregato — infatti usa le stesse aree cerebrali usate dalla mente conscia — né distruttivo: se ha superato la selezione naturale, qualche vantaggio deve darcelo. Possiamo aumentare il nostro autocontrollo quanto più scarichiamo su meccanismi inconsci il carico di lavoro mentale. È più facile rispettare diete e vincere la pigrizia se ci affidiamo al “pilota automatico” dell’inconscio. Basta costruirsi un quadro preciso di ciò che si vuole fare: “Correrò lunedì, alle 13, nel parco sotto casa, con questa tuta blu “: più dettagliato è l’impegno, più sarà automatico, grazie anche all’inconscio, compiere l’azione una volta che ci troviamo in quel contesto».

Buona lettura a tutti!

 

Ci sentiamo stressati dalla tecnologia?

Tecnostress: è la percezione di essere ‘invasi’ dalla tecnologia informatica e dal sovraccarico di informazioni. Noi soffriamo di tecnostress?

Abbiamo parlato di dipendenza da smartphone, e oggi la nostra attenzione è sull’utilizzo delle tecnologie informatiche per lo svolgimento di attività lavorative. È risaputo che incide sul nostro apparato muscolo-scheletrico e osteo-articolari (polsi, dita, collo, schiena…); ci sono anche rischi di natura psico-sociali (aumento del carico cognitivo e dilatazione dei tempi lavorativi all’interno della sfera privata-personale). Quest’ultimi ancor più evidenti se si interagisce con colleghi di altri paesi nel mondo.
I sintomi di tecnostress sono: insonnia, calo della concentrazione, mal di testa, ipertensione, stanchezza cronica…

Come gestire questo stress? C’è un modo?
La PAUSA DIGITALE.
Non è impossibile… in alcune aziende in America si programmano alcuni periodi dell’anno, o un giorno alla settimana, oppure brevi periodi durante la giornata lavorativa nei quali escludere l’uso di tecnologie informatiche.

Chi beneficerebbe di questa PAUSA DIGITALE?  Oltre alla salute dei lavoratori, la qualità del lavoro e l’organizzazione aziendale.
Sappiamo che le interruzioni, il passare da una attività all’altra riducono l’efficienza e abbassano il livello di energia. E per il ripristino ci vogliono 15/20 minuti. Ad esempio, le interruzioni frequenti per rispondere alle email in arrivo comportano una rottura nella concentrazione del lavoro in corso e compromettono la qualità stessa del lavoro. Affinché questo non diventi il nostro modo di lavorare, stiamo creando delle ‘finestre’ per rispondere alle email?

Vediamo come alcune aziende stanno gestendo il potenziale tecnostress. Alcuni esempi:

  • Volkswagen in Germania, dal 2011, ha deciso, per i dipendenti con un cellulare aziendale, di limitare la gestione delle e-mail fuori dagli orari di ufficio (i server si spengono mezz’ora dopo la fine dei turni e riaccesi trenta minuti prima dell’inizio)
  • L’azienda chimico energetica Bayer e E.On. ha stabilito ufficialmente che nel tempo libero nessuno debba ricevere email di lavoro
  • In Henkel è stato dichiarato il sabato come giorno ‘mail free’
  • In Bmw gli impiegati stabiliscono con i capi le ore di reperibilità extra ufficio e il tempo dedicato a rispondere ad email è considerato straordinario, da recuperare nel corso della settimana lavorativa.

È possibile che ora noi stiamo pensando: da noi non è possibile.
Veramente non è possibile o è un modo per giustificarci-giustificare l’azienda e sentirci importanti?
Possiamo essere noi a iniziare creandoci delle ‘finestre’ di pausa digitale!
A volte l’impossibile è quello che non abbiamo ancora fatto!

 

Spunti da:

Gianni Alioti (2016). Tecnologie digitali, tecnostress e pausa digitale.

 

Categorie: self management – stress

Essere ottimisti… è sufficiente per raggiungere l’obiettivo?

Come raggiungere un obiettivo? Quante volte abbiamo sentito frasi come ‘Be optimistic’, o ‘Look the positive side’ (guarda il lato positivo) o ‘Se puoi sognarlo, puoi farlo (Walt Disney)’. Indubbiamente ci aiutano in una situazione difficile, ci fanno e danno piacere in quel momento… ma ci portano veramente a raggiungerlo?

Ipotizziamo che uno dei nostri hobby sia la maratona e che vogliamo gareggiare alla maratona di New York il 4 novembre. Siamo comodamente seduti sul divano e sogniamo… possiamo farcela… ci immaginiamo tra la folla dei maratoneti… e ci vediamo al traguardo: ‘sì, posso farcela!’

Questa è fantasia, non è realtà! Se non ci alleniamo in modo determinato, tenace, se non combattiamo la nostra pigrizia e tutti gli imprevisti, non possiamo raggiungere il traguardo di New York, nemmeno se l’abbiamo immaginato!

Tutti noi abbiamo obiettivi, in ambito professionale e personale. Può succedere di trovare ostacoli che ci impediscono di raggiungere gli obiettivi? Come ci comportiamo quando ci sono ostacoli? Detto in altro modo: come possiamo trasformare in azione un sogno?

Gli scienziati ci possono aiutare (frutto delle ricerche della neuroscienziata Prof.ssa Gabriele Oettingen) affinché la percentuale di raggiungimento dei propri obiettivi aumenti enormemente. Interessati?
Un acronimo ci può aiutare: DROP, Desiderio – Risultato concreto – Ostacolo – Piano (in inglese Wish Outcome Obstacle Plan)

Questo acronimo ci mostra innanzitutto due regole:
1. PRIMA il futuro desiderato, POI l’ostacolo.
L’essere umano è tentato ad elencare prima tutti gli ostacoli e poi il futuro desiderato. Qui invece, affinché il desiderio si realizzi, è importante NON invertire l’ordine.
2. Il PIANO è un’azione fisica (non è pensare!), è inteso come ‘se…allora…’
E_Se il singolo obiettivo avesse diversi ostacoli, applicare il processo ed identificare un piano per OGNI ostacolo.

Un esempio?
Desiderio: voglio dare l’esame di diritto tra 30 giorni
Risultato: avrò finito tutti gli esami della sessione e potrò andare qualche giorno in vacanza
Ostacolo: mi distraggo spesso andando su Facebook
Piano inefficace: Se sarò pigro e disorganizzato, allora ricorderò a me stesso che per vincere ci vuole entusiasmo, organizzazione, autodisciplina, metodo (Può veramente funzionare??? Basta pensarlo??? )
Piano efficace: se invece di studiare perdo tempo su Facebook, allora spegnerò il telefono e staccherò la batteria (questa è una azione pratica)

A quale obiettivo, personale o professionale, vuoi applicare il DROP? (c’è anche una app.