Quale storia stiamo raccontando a noi stessi? Velcro o Teflon?

Ci stiamo raccontando una storia che dà piacere ed è benefica o una storia che dà sofferenza ed è malefica? Se il mondo reale non ci piace, ce ne inventiamo uno nel quale stare ‘bene’, che ci dà sollievo; oppure pur non essendoci più pericoli fisici dell’ambiente come per l’uomo preistorico, creiamo nemici ben più pericolosi dentro il nostro cervello?

Le aggressioni reali, quelle fisiche, sono ormai relativamente rare, eppure la nostra Amygdala è sempre sollecitataperché il nostro sistema d’allarme ‘non distingue fra aggressioni fisiche reali e aggressioni simboliche pensate’. Quest’ultime provengono dal cervello, non dal mondo esterno. È il nostro cervello, sulla base della sua memoria, con tutti i ragionamenti che può fare, che decide se siamo in pericolo oppure no. Come scrive Giulio Cesare Giacobbel’elenco degli animali pericolosi per l’uomo in epoca preistorica fa ridere al confronto dei pericoli che il nostro pensiero è in grado di creare oggi’. I pericoli inventati dal nostro pensiero sono praticamente infiniti. Dale Carnagie, autore de Come trattare gli altri e farseli amici, scriveva che il 99% delle cose per cui siamo in ansia non accadono mai. Quasi tutte le ansie o l’infelicità derivano dall’immaginazione e non da fatti e dati reali.

C’è anche il detto: Quelli che non sanno vincere le preoccupazioni muoiono giovani.

Cosa significa? Nel 2012 una ricerca (Affective reactivity to daily stressors and long-term risk of reporting a chronic physical health condition) ha verificato che non sono gli stressor a danneggiare la salute. Sono le reazioni delle persone agli stressor che determinano quanto le persone soffriranno di problemi di salute. Si distingue quindi tra persone che quando incontrano un fattore stressante vi si appicciano come fossero fatte di VELCRO; all’opposto le persone TEFLON permettono allo stress di scivolargli via. E l’impatto non è solo quello immediato: è più probabile avere uno stato di salute peggiore da qui a 10 anni se i problemi e lo stress conseguenti restano attaccati addosso come il velcro (anziché farseli scivolare via come il teflon). Cosa possiamo fare? Cosa dice la scienza?
Cambiare il modo di vedere lo stress può farci stare meglio.
Ad esempio, noi esseri umani possiamo imparare tecniche di rilassamento e di meditazione adeguate alla vita occidentale, possiamo imparare ad essere più teflon e meno velcro. Questo è uno dei motivi per cui la mindfulness sta avendo sempre più seguito, sia per i risultati pratici che per le conferme cliniche.

Noi che atteggiamento abbiamo? La storia che ci stiamo raccontando è più velcro o più teflon?

 

Tratto da:

Giacobbe, G. C. (2013). Come smettere di farsi le seghe mentali e godersi la vita. Milano: Ponte alle Grazie

Piazza, J. R., Charles, S. T., Sliwinski, M. J., Mogle, J., & Almeida, D. M. (2012). Affective reactivity to daily stressors and long-term risk of reporting a chronic physical health condition. Annals of Behavioral Medicine, 45(1), 110-120.

Effetto persona e 6 comportamenti di ascolto attivo

Mai sentito ‘EFFETTO PERSONA’?
Quando un medico misura la pressione sanguigna a un paziente, i valori sono del 20 per cento più alti rispetto alle misurazioni effettuate dal paziente a casa sua. Questo effetto viene chiamato ‘effetto camice bianco’.

La neurofisiologia mostra che quando una persona è veramente in ascolto, si abbassa la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna; se invece non ascolta, battito cardiaco e pressione possono aumentare. L’atto di rispondere a una domanda è, ad esempio, una forma di ascolto; rifiutarsi di dare risposta è in genere una forma di non ascolto. L’effetto persona comporta che quando parliamo a qualcuno la nostra pressione sanguigna aumenta, quando invece ascoltiamo diminuisce.

Anche il nostro corpo ascolta. Come possiamo mostrare all’altro che stiamo ascoltando attivamente?
Rispondiamo a queste 6 domande per renderci consapevoli di quanto veramente ascoltiamo.

  1. Quando ascolto qualcuno cerco di leggere anche il suo linguaggio non verbale?
  2. Riesco a manifestare interesse in chi parla (ad es. cenni con la testa, domande di approfondimento)?
  3. Riesco a focalizzarmi sulla globalità del discorso anziché sulle singole parole, ponendomi la domanda “Quale messaggio mi sta trasmettendo?”
  4. Riesco a resistere alla tentazione di offrire le mie idee e conclusioni senza aver prima sondato l’opinione degli altri?
  5. Mentre l’interlocutore parla riesco a focalizzarmi sull’ascolto senza distrarmi per pensare alla risposta?
  6. Tendo a riformulare il messaggio ricevuto quando ho dei dubbi (“Se ho capito bene mi stai dicendo che……!”)? Oppure a sintetizzarlo: (“In sintesi mi stai dicendo che……….”?)