Amigdala e smartphone

Sappiamo che è l’amigdala che ci fa perdere la trebisonda, che permette al Neanderthal che c’è in ognuno di noi di rivivere, facendoci diventare più stupidi.

La ricerca ci mostra come viene coinvolta l’amigdala quando utilizziamo lo smartphone. Erik Peper e Richard Harvey dell’Università di San Francisco, in uno studio di aprile 2018, evidenziano che le notifiche di email, Facebook, Instagram, Snapchat, Twitter … possono ‘essere’ così importanti da interrompere quello che stiamo facendo e guardare il cellulare.

E in quel momento ci poniamo una domanda: Ignorare o interrompere quello che sto facendo?
Le notifiche attivano gli stessi percorsi neuronali di pericolo imminente, di attacco di un predatore, cioè i percorsi dell’amigdala. E possiamo rimanere sequestrati da questo comportamento: l’amigdala infatti memorizza con la ripetizione.

L’amigdala imprime le risposte comportamentali e questo può portarci alla dipendenza da smartphone. Il comportamento di dipendenza da uso di smartphone forma connessioni neurologiche nel cervello in modo simile alla dipendenza di sostanze stupefacenti, come gli oppiacei, causando interferenze nella produzione di dopamina (la dopamina è il neurotrasmettitore che regola la ricompensa e incoraggia le persone a svolgere attività che possano offrire piacere).

Se non diamo al nostro sistema il tempo di rigenerarsi (da smartphone), la degenerazione neuronale può avvenire.
Sappiamo che è difficile rompere una dipendenza e sappiamo anche che non è impossibile. Per ricaricarsi e ricostruire una connessione sociale, possiamo sviluppare una attenzione proattiva.

Alcune strategie per essere PROATTIVI sono:

  • Disattivare le notifiche delle app. in modo da non interrompono il lavoro
  • Pianificare il tempo per guardare e rispondere a Email, Facebook, Twitter, Instragram, Snapchat… si può anche informare gli altri degli orari pianificati di lettura (es. 11-12)
  • Organizzare un tempo ininterrotto di massima concentrazione (no social media in questo periodo)
  • Spegnere i devices digitali durante eventi sociali (cene o chiacchierate con amici, colleghi, familiari…)
  • Essere attivo, per scelta, quando siamo con gli altri (no social media)
  • Creare un gioco per evitare l’uso di smartphone. Ad esempio, quando si esce a cena, tutti posizionano il telefono nel mezzo del tavolo e si fa un accordo che la prima persona che tocca lo smartphone pagherà il conto (o il dolce…)
  • Creare tempo non strutturato senza stimolazione per consentire l’opportunità auto-riflessione e rigenerazione

 

Tratto da:

Peper, E. & Harvey, R. (2018). Digital addiction: increased loneliness, anxiety, and depression. NeuroRegulation, 5(1), 3-8.

Proviamo paura mentre parliamo in pubblico? Come aumentare la fiducia in noi stessi?

Molti di noi si sentono ansiosi quando si trovano a parlare di fronte ad un pubblico: nella mente si creano paure…
La domanda che possiamo porci è: tutte le paure che abbiamo sono reali oppure no? Una paura reale potrebbe essere quella di non gestire il tempo a disposizione in modo idoneo. Una paura ‘menzognera’, ad esempio, potrebbe essere quella di essere fischiati dal pubblico.

Come possiamo gestire le paure reali?

Disegniamo tre colonne su un foglio di carta. Nella prima colonna elenchiamo le nostre paure; nella seconda scriviamo la cosa peggiore che potrebbe accadere se quella paura si avverasse; nella terza colonna scriviamo la cosa migliore che potrebbe accadere se si avverasse quella paura.

Un esempio:

Possiamo usare questo strumento per essere sicuri di essere realisti riguardo alle proprie paure.

Per alzare il nostro livello di fiducia durante una presentazione, possiamo prestare attenzione al nostro linguaggio del corpo. Il modo in cui ci poniamo, ci sediamo e parliamo influiscono sull’opportunità di essere ascoltati o meno. Ad esempio, stare dritti con le spalle all’indietro aiuta a sentirsi sicuri e autorevoli. Inoltre in una presentazione è bene non tenere le braccia incrociate, bensì mani lungo i fianchi e il busto aperto e puntato verso il pubblico. Il corpo in questo modo invia il messaggio che si è aperti e degni di fiducia. E se riusciamo, cerchiamo anche di avere un tono di voce un po’ più basso del solito, per darci potere. Questo può contrastare l’effetto di nervosismo, che tende a spingere il tono della voce più in alto.

  Spunti da:

Bonchek, M. & Gonzales, M. (2018). 5 ways to get over your fear of public speaking. Harvard Business Review.

Oltre il brainstorming: il question storming

Tutti noi conosciamo il brainstorming, l’importanza del brainstorming… Abbiamo partecipato, organizzato, sessioni di brainstorming… Seguiamo i principi fondamentali enunciati dallo stesso Osborn. Primo: non criticare; secondo: andare a ruota libera; terzo: la quantità è quello che conta; quarto: creare nuove combinazioni e miglioramenti di idee precedenti.

Il brainstorming è la tecnica di creatività più popolare di tutti i tempi. E non funziona così bene come afferma. Decenni di ricerche hanno regolarmente dimostrato che i gruppi di brainstorming producono meno rispetto allo stesso numero di persone che lavorano ciascuna per conto proprio e si ritrovano poi per mettere insieme le loro idee. Intorno al 1970 era oramai chiaro che la pratica del brainstorming non trovava conferma nella ricerca scientifica: ‘il gruppo finisce per rivelarsi più stupido dei singoli membri’.

Perché la sua popolarità dura ancora oggi? A causa dell’illusione dell’efficacia del gruppo: le persone si annoiano a stendere da sole elenchi di idee, mentre in gruppo c’è il vantaggio di ridere (il fatto di divertirsi induce a credere che il gruppo sia più efficace di quanto in realtà non sia). Inoltre quanto più è forte lo spirito del gruppo, tanto maggiore è il rischio che il pensiero di gruppo porti a decisioni sbagliate (quando la coesione è molto alta, tutti si accodano). Da considerare anche il groupthink (pensiero di gruppo) in cui una squadra di persone intelligenti finisce per fare cose più stupide di quelle che farebbero lavorando ciascuna per proprio conto.

La ricerca ha individuato tre cause possibili della minor creatività dei gruppi di brainstorming:

  1. Blocco della produzione e la tendenza a fissarsi su un tema. Un rimedio è quello di svolgere un brainwriting: ognuno ha cinque minuti per scrivere le sue idee su un biglietto e passarlo a chi gli siede accanto.
  2. Inibizione sociale. Un rimedio consiste nell’impiego di un facilitatore qualificato, che noti chi non partecipa attivamente e cerchi di stimolarlo ad aprirsi.
  3. Disimpegno sociale. Se ogni partecipante sa che verrà valutato individualmente, il gruppo produce idee più numerose e migliori.

Gregersen, direttore esecutivo del MIT Leadership Center, consiglia che per un miglior brainstorming bisogna dimenticare di trovare risposte; piuttosto trovare nuove domande riguardo al problema. Nuove domande generano idee originali, evitano bias cognitivi di esperienze passate e permette alla mente di avventurarsi in territori sconosciuti. Questa nuova modalità di brainstorming (detta question storming) aiuta ad andare in profondità, a trovare idee alternative e sconosciute e ad evitare i limiti del brainstorming tradizionale.

I cinque passi del question storming sono:

  1. Preparazione: il moderatore prenderà appunti (scriverà tutte le domande che emergeranno) su un foglio, un pc… non su una lavagna visibile a tutti.
  2. Presentare il problema (massimo 2 minuti di presentazione del problema da affrontare).
  3. 4 minuti per generare domande: generare il maggior numero possibile di domande. Più sorprendenti, provocative sono, meglio è. Le domande saranno semplici e corte. Almeno 15 domande in 4 minuti! (la pressione del tempo aiuta a concentrarsi).

Due regole: I. le persone possono solo contribuire con domande; II. nessun preambolo, scusa, giustificazione che introduca la domanda (per non pilotare il pensiero).

  1. Analizzare le domande. Colui che prende in carico i risultati cerca temi comuni e identifica le domande, o la domanda, con maggior potenziale.
  2. Follow-up. Nelle successive tre settimane si attuano le azioni concrete per trovare soluzioni al problema.

Gregersen consiglia gruppi da 3 a 6 persone e che per ogni problema ci siano almeno 3 round (anche con persone diverse). Questa modalità di question storming dovrebbe poi far parte della cultura aziendale, un’abitudine per innovare e creare il senso di appartenenza nel trovare soluzioni.

 

Tratto da:

Sawyer, K. (2012). La forza del gruppo. Il potere creativo della collaborazione. Firenze: GiuntiEditore.

Gregersen, H. (2018). Better brainstorming. Focus on questions, not answers, for breakthrough insights. Harvard Business Review, 96(2), 64-71.